Sessantasei giorni offline

Non è dunque essenziale stabilire se il melanconico, nel suo tormentoso autodenigrarsi, abbia ragione, nel senso che la sua critica converge con il giudizio degli altri. Il vero punto è che egli descrive certamente con esattezza la propria situazione psicologica. Ha perduto il rispetto di sé e certamente per un buon motivo. Ci troviamo comunque di fronte a una contraddizione che ci pone un enigma difficilmente risolvibile. L’analogia con il lutto ci induce a concludere che il melanconico ha subito una perdita che riguarda l’oggetto; da ciò che egli dichiara risulta invece una perdita che riguarda il suo Io.
(Sigmund Freud)

Sessantasei giorni offline.
Ci sono tanti tipi di lutto, solo che molti non lo sanno.
Come si fa a non essere inghiottiti dalle sabbie mobili?
Rimanendo immobili.
E per uscirne?
Qual è la postura che serve per uscire?
Sdraiarsi, aumentando la superficie del nostro corpo.
E pian piano, cercare di strisciare fuori.
Lottare non è funzionale, in certe situazioni.
Funziona, di fatto, scegliere di ampliarsi, letteralmente abbracciare il fango, per poter strisciare fuori.
Togliere il pilota automatico, centrarsi su se stessi e lentamente scivolare fuori.
Prima di sentirsi meglio, “sentire meglio”.
Ecco, non ci avevo fatto caso, ma il quadratino “sessantasei giorni offline” mi ricorda il mio sentire.
Che ora mi permette di essere fuori quelle sabbie mobili.

Daimon

“I miei demoni li ho nutriti con l’accettazione e l’ascolto.
Li ho fatti sedere intorno a me e li ho chiamati per nome, solo allora hanno smesso di farmi paura e sono diventati alleati potenti.
Avevano il nome di mio padre, del ricatto, dell’invisibilità, dell’inadeguatezza, del dolore della perdita, della ferita d’amore, della paura.
Finché li ho combattuti o ignorati hanno divorato la mia vita e le mie relazioni.
I demoni vanno abbracciati, in quel momento ti apriranno le porte della rinascita.
Il demone della paura ti parlerà di quanto ti sei allontanata dalla tua natura, ti parlerà delle passioni che hai messo a tacere, della tua voce che non ascolti più, di come sei rimasta incastrata in una vita che non è quella che desideri.
Il demone dell’invisibilitá ti racconterà del tuo bisogno di brillare, quello dell’inadeguatezza ti mostrerà i tuoi doni e il tuo potere personale.
Ognuno di loro avrà una storia da raccontarti, ascoltala.
I demoni sono come i draghi, vanno baciati, non vanno uccisi. “
(Bride An Geal)

Ho imparato

Maya Angelou (Saint Louis, 1928 – Winston-Salem, 2014)

<<Ho imparato che qualsiasi cosa accada, o per quanto l’oggi sembri insopportabilmente brutto,
la vita va sempre avanti e il domani sarà migliore.

Ho imparato che si può capire molto di una persona dalla maniera in cui affronta queste tre cose:
una giornata piovosa, la perdita del bagaglio, l’intrico delle luci dell’albero di Natale.

Ho imparato, indipendentemente dal rapporto che abbiamo coi nostri genitori,
che ci mancheranno quando saranno usciti dalla nostra vita.

Ho imparato che il semplice sopravvivere è diverso da vivere.

Ho imparato che la vita qualche volta consente una seconda chance.

Ho imparato che non si può affrontare la vita con i guantoni da baseball su entrambe le mani:
si ha sempre bisogno di gettare qualcosa dietro le spalle.

Ho imparato che ogni volta che prendo una decisione col cuore,
generalmente faccio la scelta giusta.

Ho imparato che anche quando ho delle sofferenze
non devo essere una sofferenza.

Ho imparato che ogni giorno si dovrebbe uscire ed avere contatti con qualcuno.
Le persone gradiscono molto un abbraccio, o anche semplicemente una pacca sulle spalle.

Ho imparato che ho ancora molto da imparare.

Ho imparato che le persone dimenticheranno quanto hai detto,
dimenticheranno quanto hai fatto,
ma non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire.>>

*** Grazie Kat, perché sei sorella, amica, collega, e forse anche un poco figlia. Grazie perché da te, ogni giorno, imparo e ricevo molto più di quanto tu creda all’inverso…anche sui dottorati♡

Grazie perché mi insegni che chi non ci ama non merita nemmeno i nostri pensieri: perché l’oblio, più, dell’odio è il contrappasso migliore***

Nonna Velia

La vita è un pellegrinaggio e noi siamo fatti di cielo.
Ci fermiamo un poco qui e poi riprendiamo il nostro cammino.
Non devi avere paura. Mai.

San Giovanni XXIII

Da ieri il cielo ha un pezzettino in più.
Era una vecchina che ho avuto il privilegio di conoscere diciotto anni fa.
L’ho conosciuta perché la sua splendida figlia era diventata la mia migliore amica, la mia collega, la mia compagna di viaggio.
La cosa migliore che la vita poteva donarmi.
Nonna Velia si mise e, come fanno molti anziani, con entusiasmo e la voglia di raccontare mi parlò di tutta la sua vita: del lavoro stagionale, della figlia tardiva, del suo essere severa, del suo amore per i nipoti.
Non era mai faticoso salire 4 piani di un antico edificio (dai gradini enormi!) per poter parlare con lei, e prendersi il suo immancabile caffè mentre davamo un’occhiata ai gatti o alle gallinelle.
Era sempre così accogliente e gentile.
Ero come una figlia.
Penso tutti lo fossero!
Anche con mio figlio, sembrava fosse anche lui suo nipote.
Ho una foto che lo dimostra: con le due bellissime nipotine -ora giovani donne- lo teneva in braccio e lo contemplava, estatica.
Guardandola, quel giorno, con mia madre che era già da sei anni un pezzo di cielo, mi dissi che l’ Amore che dai e che sembra magari sprecato o perduto gira, e ti ritorna anche da persone che incontri per caso sul tuo cammino.
Da allora ne ho avuto diverse prove, sul mio cammino.
Nonna Velia resta una delle più belle… e che bello era quando, invece di fare il numero di telefono della figlia, finiva per comporre il mio! La sua risata, quando si accorgeva di aver sbagliato numero, cambiava colore alla giornata.

Nonna Velia si era ammalata, negli ultimi mesi.
Più volte mi sono detta che volevo andare da lei, godere del suo sorriso un ultima volta.
Me lo sentivo, che dovevo andare. E presto.
Ma ecco, ci facciamo prendere da ritmi insensati, e rimandiamo sempre a domani quell’abbraccio che farebbe la differenza, nel nostro cuore, convinti che avremo sempre la possibilità di poterlo avere.
Non è così.
La vita passa, e mentre noi rincorriamo scadenze e obiettivi trimestrali , rincorriamo l’ultimo modello di cellulare o, peggio, abbiamo paura di fermarci e dare diverse priorità alla nostra vita, le persone vanno via.
Perché un giorno quello che resterà di noi è l’Amore che abbiamo dato e ricevuto. Non il cellulare, non le scadenze, non gli obiettivi economici.

Così, nonna Velia, ora che sei un pezzo di cielo, so che posso alzare gli occhi al cielo e cercarti… ma onestamente mi mancheranno i tuoi occhi pieni di luce, che raccontavano come fossi cresciuta sì, ma invecchiata mai.
Farò finta di vederli là, tra le stelle dell’Orsa.
Dove sono anche quelli di mia madre.
Grazie per tutto l’ Amore che hai saputo dare.
Continueremo a farlo girare.💓

Non un amore, ma un calesse (Troisi docet)

-Vai- gli ho detto, e in tre lettere c’era l’oceano.
(Giulia Carcasi)

<< … E’ un sentimento che capisco perché anche io l’ho sperimentato….ed è brutto, molto molto crudele. Quando hai tanto da dare ed è come se tu perdessi Amore da ogni angolo del tuo Essere… E straripassi… E nulla riesce a contenere tutto ciò che hai da dare…
… Senti che perdi pezzi di te.
Dici ” Io ho così tanto… perché non c’è nessuno disposto ad accoglierlo? Mi accontenterei anche di una restituzione in minima parte, purché qualcuno accolga questo Bene…”
Purtroppo ci sono dei momenti in cui, questa solitudine ci ricorda che il nostro giardino personale non è vuoto. Però dobbiamo sapere bene chi fare entrare in questo giardino e chi coltivare, nel nostro giardino.
Ma soprattutto, io penso che bisogna iniziare da se stessi. >>
(Grazie, Kat ❤ )

Visione

Era festa
E tu non c’eri
Nel mio cuore
Eri l’unico invitato
Ma tu l’hai voluto affollato di occhi
Perché i tuoi non sanno amarmi

Io e te divisi da un muro col filo spinato
Che ti difende dall’amare e dal soffrire
Tu che attendi qualcosa che non vuoi avere
Io che spero in qualcosa che non può accadere

E quel che resta
In queste notti calde d’estate
Ma fredde d’amore
È la visione di un’oasi nel deserto:
di chi morente si immagina
l’abbraccio che lo porrà in salvo
ma che non arriverà mai.

Alice in Wonderland Day

“‘Who in the world am I?’ Ah, that’s the great puzzle!”

Nessun giorno è migliore di questo per parlare di Alice, e di quanto mi appartenga come racconto. Tanto che-bisogna dirlo- Rosaria l’altro giorno si senti’ in dovere di farlo nel modo più dolce possibile -lei che è laureata in lingue e che mi vuole immensamente bene – e mi disse: ” … certe volte mi sembri proprio Alice nel paese delle meraviglie …”

Eh già. Perché credo alle fiabe. Perché tutto mi sembra un puzzle da risolvere. Perché vedo che sbocceranno fiori dove gli altri vedono solo il cumulo di cacca. Perché mando regali senza motivo con il biglietto “buon non-compleanno”.

Così oggi, in un giorno veramente complesso emotivamente, mi viene da dirlo forte: ” Eh già ! Sono Alice e me ne vanto!” E non solo… a volte sono il bianconiglio, a volte il cappellaio matto, a volte la regina bianca e -molto più spesso- sono lo stregatto.

Che bello aver incontrato la prof. Tondo. Mi ha ricordato quanto profondamente io ami la letteratura inglese, ed in particolare le fiabe. E mi continua a ricordare perché le ami.

Perché un racconto come quello di Alice parla di ognuno di noi. Dietro l’apparente nonsense, noi siamo uno o più personaggi, a secondo del carattere, del giorno o dello stato d’animo.

A pensarci bene, oggi mi sento una via di mezzo tra Alice e lo stregatto. Perché mi viene da dire come lui: “Solo pochi trovano la strada, alcuni non lo riconoscono quando lo fanno – alcuni… non lo vogliono mai.”

#AliceInWonderlandDay

Ferite

Il cuore va in frantumi
e ti sembra di morire dissanguato
e hai perso così tanto sangue
che ti senti fragile e debole,
e invece una parte di te,
sta costruendo delle fortezze
una parte di te ti sta rendendo più solido.

(Fabrizio Caramagna)



…Quando decidi di emozionarti, di amare senza riserve, indubbiamente devi essere pronto al prezzo.
Il quale, spesso, è ferirsi.
E’ sorprendente, tuttavia, come sembri che alcune persone, distanti e sconosciute, riescano e coalizzarsi per questo intento che sa di insegnamento.
Perché, in fondo, cos’è una ferita?
Ti incide. Come un insegnamento- che, letteralmente, significa “imprimere”(in-signare).
Curioso pure come questi che si siano coalizzati siano “maestri”, ovvero insegnanti nel senso letterale del termine…
E dunque, sì.
Sto imparando.
Che quando ami senza riserve, in troppi restano sconvolti.
E no, che non sei normale.
Nella migliore delle ipotesi, sei finto.
Nella peggiore, i tuoi atteggiamenti mirano a manipolare o a ricattare emotivamente… ovviamente, per avere qualcosa in cambio.

E dopo un bel pianto (forse due, o tre) liberatorio… cosa resta, oltre alla ferita?
Una consapevolezza.
La consapevolezza che questo infantile, folle, sentimento è la tua forza, e fa paura a chi non lo sa fare.
A chi non lo sa sentire, e capire.
E ci sta, che il prezzo sia una ferita.
“ἐν τούτῳ νίκα”.
Ne sono certa, in un modo o nell’altro tutto ti ritorna.
Anche l’Amore che diamo apparentemente come vuoto a perdere…

Attese ed inattese

Se tu mi ami come io ti amo, perché perdere tre quarti della vita ad aspettarci?
(Simone de Beauvoir)

… Accadono cose inaspettate, nella vita. Nel bene come nel male. 

Accade, per esempio, che incontri per caso il Sole che sconvolge di un’estate inaudita la tua esistenza.  Che nemmeno credevi esistesse. Che hai paura ti svegli e per poi accorgerti che è solo un sogno.

Come accade, anche, che ti ritrovi a dover rimandare piani e progetti per un day surgery che si spera resti solo quello.

E ti vogliono addormentare ma non vorresti, perché certe cose è meglio farle ad occhi ben aperti…

…Ma, tant’è. 

La vita è vita anche per questo. Per la luce e l’ombra. La speranza e la rassegnazione.

L’amore e la gioia…e quel sottile dolore che reca sempre con sé. 

Quel che resta

Mai prima d’ora abbiamo avuto così poco tempo
per fare così tanto.

(F. D. Roosevelt)

… Per anni ho avuto tante cose da dire. Poi, pian piano, negli ultimi, il ripiegamento sulla Priorità della mia vita assieme alle difficoltà mi ha dato ben poche parole e tanta, tanta stanchezza di fare.
E poi è arrivato l’anno bisestile del Covid, che ha dato un cuscino alla mia stanchezza. Ha detto: “tieni, ora la tua stanchezza di vita ben si inquadra col ritmo del mondo, tranquilla”.
Quante cose buone potesse portare una pandemia, non ci avrei mai creduto.
Per esempio, nella mia azienda, ha reso possibile l’impossibile: come lo smart/remote working per la mia mansione.
Peccato che io avessi già chiesto il telelavoro, partito in perfetto sincrono con il primo lock down.
Per esempio, poi, ci ha dato la misura di chi tiene veramente a noi, che nel vuoto ha trovato lo spazio per te…e chi invece definitivamente ti ha chiuso fuori, dalla sua vita, con le scuse più becere… perfino usando il covid come alibi.
Per esempio, anche, ci ha portato la tanto odiata dai più DAD/DAI. Per mio figlio neuroatipico è stata una benedizione. Perché rispetta più i suoi tempi d’apprendimento e di sogno/veglia. Perché l’ho preparato io, (e questo però mi ha ancora -maggiormente- ripiegato su lui, la mia priorità) che un po’ so come si fa ad adattarsi alle diverse modalità di apprendimento, un po’ sono abbastanza competente da attuare strategie psicopedagogiche per l’apprendimento divergente, un po’ è mio figlio e so come fare ad  aiutarlo ad imparare bene. 
Mamma e maestra h24.
Così ho perso Amalia chissà dove. Penso tra i fogli sparsi di quell’ ennesima tesi su cui  mi viene da piangere come un figlio che rischia di non nascere più.

E quante cose ci ha portato via un anno così?
Parecchie. A molti persone e lavoro.

Io so solo che non potrò tornare più a F6 e trovare Maurizio che rendeva il lavoro qualcosa che non era un problema ma un’opportunità. Non ritroverò la mia amatissima Wandina, Saretta che prepara il caffè, il mio tessssoro Monica, la mia fantastica Manu. E poi le Anne, Ale, Rosa, Dani  e Maria Rosaria, Giovanna, Mela bella e Lauretta.
Non potrò andare al sesto piano e ritrovarli tutti lì, e magari fare un sabato con salame, formaggio e vino in pausa pranzo…e panettone, e addobbi natalizi.
E risate, tante.
Non ci sarà forse mai più un tempo così.
Curioso che ci lasciamo un giorno dicendoci “ci vediamo la settimana prossima” (vero Wandina?) e poi…
…e poi Maurizio va in pensione senza una festa, senza che possiamo piangerci uno dei migliori supervisor che si siano mai visti a Napoli. Senza poterci salutare e abbracciare noi gruppo tutte donne.
E poi hanno sciolto il gruppo, che era insieme da così tanti anni che eravamo una famiglia, di cui resta l’impronta su un gruppo whatsapp. Senza poter elaborare nuove modalità di lavoro, di spazio e…e le distanze. 
Elaborare le distanze.

Penso che il 2020 sia stato l’anno delle distanze, non tanto del distanziamento. C’è di buono che da distanti vediamo tutto in modo più chiaro, specie le cose più importanti.
E le persone più importanti.
Distanti, col naso all’insù, a vedere le congiunzioni dei pianeti e ad immaginare nostre -mancate-  congiunzioni.

Così, dal cuscino regalatomi dall’anno del Covid, cerco di recuperare un pò di sogni per poter poi recuperare un po’di me per il prossimo anno.
Perché sognare è come sperare. 
Sperare che questo sia stato un tempo di semina e non di carestia.
Di pazienza e attesa e non di immobilismo .
E che i frutti arriveranno …
…prima o poi.

Questo è quel che resta.
La speranza.
Auguro a tutti voi per il nuovo anno la stessa speranza.